Enrica Garzilli su Il Fatto Quotidiano. Con l’insediamento di Lobsang Sangay c’è una netta svolta nella politica del Tibet in esilio. La “via di mezzo” del Dalai Lama mi pare completamente superata, quella che propugnava l’autonomia del paese in seno alla Cina. E prevedo nuove lotte.
Nel discorso di giuramento Sangay ha esortato i tibetani a lottare “fino a sacrificare la vita”, se necessario, per riunificare il Tibet “di qua e di là dell’Himalaya” e di riportare il Dalai Lama nella sua città di origine, Lhasa. Ha pronunciato parole durissime verso la Cina. E ha ribadito il vecchio patto di mille anni fa: “La Cina ai cinesi e il Tibet ai tibetani”. La Cina, dice Sangay, non persegue “una politica socialista ma colonialista”. Sangay ha giurato di perseguire l’indipendenza del paese.
Se Sangay non verrà eliminato prima in qualche modo, temo che vedremo lacrime e sangue fra i tibetani. Ma, forse, potremo anche vedere un Tibet diventato di nuovo libero. Spero solo di essere ancora qui per vederlo.
(Tra l’altro, il nuovo primo ministro era Research Fellow alla Harvard Law School, la facoltà di giurisprudenza, come lo ero io)